Mentre leggevo “Le bugie del marketing – Martin Lindstrom” scopro l’esistenza di un film imperdibile per tutti i marketer: The Joneses.
Se siete affetti dalla sindrome di Truman questo film fa per voi: la storia tratta di una famiglia che si trasferisce in un quartiere e comincia a far amicizia con il vicinato, ma dietro agli sfolgoranti sorrisi dei nuovi arrivati si cela qualcosa di strano.
La famiglia in realtà è un’unità di marketing che ha il fine di promuovere i prodotti, un mix tra product placement e creazione artificiale di influencer nel mondo reale: un marito simpatico e affascinante, una moglie splendida e due figli teenager pronti a diventare i protagonisti della scuola, tutti debitamente artificiali e progettati a tavolino.
I componenti della famiglia unità hanno l’obiettivo di far aumentare le vendite dei prodotti, esibendo il loro lifetyle e rendendo i prodotti che usano ancora più desiderabili.
Ad ogni membro vengono assegnati un tot numero di brand di cui devono aumentare le vendite; ovviamente ognuno si muove per colpire il proprio target di riferimento: il marito influenza gli uomini, la moglie le donne, i ragazzi i teenager.
Alcune chicche:
– Mr. Jones riassume così il suo lavoro
Just think of it this way.
We’re making a match…
between great products
and the people that want them.
It’s a service.
– La moglie del vicino è una venditrice di una linea di profumi simile alla Avon e viene ritratta mentre si addestra con i dvd formativi alla vendita: il film confronta fra le righe i risultati fra le due strategie, indovinate chi vince?
– Ovviamente il film in se stesso è talmente pieno di product placement che c’è da chiedersi se i produttori abbiano messo un soldo oppure sia stato tutto pagato da Audi, Htc, Nintendo, Microsoft, Mitsuno, L’Artisan Parfumeur, ecc…
Ogni scena offre vari spunti di riflessione sul concetto di branding e come tutto questo stia in realtà già accadendo: la perfetta vita online mostrata da vari influencer non è molto diversa da quella dei Joneses e i loro sponsored post non sono così lontani dal placement che vediamo nel film.
P.S. se prendete in mano anche il libro di cui accenno all’inizio della recensione, scoprirete che l’hanno fatto sul serio questo esperimento.