Dietro al lucubre nome d’arte Rob Zombie si nasconde un simpatico mattacchione che nella sua lunga carriera è riuscito a fare tutto quello che gli pare: ha disegnato fumetti, si è dedicato al metal industrial riscuotendo un un buon successo e poi si è dato alla macchina da presa sfornando perle come La casa dei mille corpi e Devil’s reject.

Per la produzione del suo ultimo film il nostro Non-Morto ha riscontrato vari problemi: la situazione è più complessa rispetto agli anni precedenti e i parametri con cui i film fanno accendere il greenlight si sono fatti più rigidi.
In sostanza: non attenersi a soluzioni che assicurino matematicamente il successo, quindi fare un film prevedibile fino al banale, causa la bocciatura della sceneggiatura. Fortunatamente Rob non si è dato per vinto e sta tentando la strada del crowdfunding.

 

[ se volete contribuire, qui trovate la campagna http://www.fanbacked.com/c/31-rob-zombie-film/]

Nell’intervista emergono un paio di aspetti interessanti.

Il meccanismo dei reward gioca a favore dei progetti che hanno come fine un bene immateriale: l’acquirente di digital good si trova spesso orfano del trofeo rappresentato dal supporto fisico e nel contempo è indispettito dai 9 euro a film su itunes (senza neanche i contenuti bonus).
Tradizionalmente i film in dvd hanno come strategia lo Scarcity marketing: film in versione doppio dvd oppure edizioni di lusso dove oggetti accompagnano il film.
Ottimo esempio di edizione di lusso è stata la collection di 007 uscita con la classica valigetta di Mr Bond.
Il crowd funding fornisce la possibilità di aumentare la gamma di beni che l’utente può portarsi a casa: in questo caso, dal gadget standard (cover iphone, maglietta) fino ai feticci dal set per i più affezionati (poster autografati, sedie dal set, schizzi originali, ecc.).
In tal senso il crowd funding funziona in molto efficiente: una buona politica di reward si adatta a tutte le tasche dei possibili sostenitori, quindi riesce a massimizzare l’apporto monetario da parte dei fan.
Interessante che tra i reward per i più generosi ci sia addirittura la possibilità di finire nei credit del film tra i produttori esecutivi.
Un segnale simbolicamente molto forte perché vediamo che uno spettatore travalica il suo ruolo:
non più “persona sulla sedia le cui caratteristiche sono decise dal produttore esecutivo”;
bensì “decisore attivo che vuole che un prodotto esca dai binari del produttore esecutivo”.
Questo caso per altro evidenzia come il crowd funding può superare le logiche di mercato tradizionali: la meccanica del red/green light delle major è governata da logiche conservatrici (sì, anche Hollywood ha dei problemi di gerontocrazia) che portano in sala l’ennesimo reboot piuttosto che provare una nuova sceneggiatura.
Il sistema perde il potenziale dell’innovazione che dovrebbe essere l’elemento trainante dell’intera industry.

Rob Zombie con questo esperimento dovrebbe riuscire a dimostrare che l’intercettare una nicchia può garantire la sostenibilità di una produzione con qualche sorpresa in più.
Da una parte l’entusiasmo dei backer funge da piattaforma virale gratuita al progetto, dall’altra consente di poter avere il termometro di situazioni fino a prima ignorate dalle major ancorate ai 4 quadranti.
In altre parole potrebbe nascere un’era dove, finalmente, vengono presi in considerazione una gamma di archetipi più granulari rispetto a famiglia intera, giovani, maschi/femmine arricchendo in modo consistente la varietà offerta nelle sale.
Magari questo non è detto che sia applicabile a un film che ambisca al cinema, ma sicuramente un’uscita in dvd/bluray/download-on-demand, che non è ostacolata dai limiti strutturali della distribuzione, può trarne un giovamento tangibile: una nicchia che contribuisca viene trovata attraverso la rete e sempre attraverso la rete questa viene ricompensata.
Il punto cruciale è vedere se la nicchia si rivela solo la punta del’iceberg di una montagna di early adopter che rendono remunerativo un qualcosa che, apparentemente, era troppo strano per avere riscontri sopra un certo limite.

Staremo a vedere se altri casi seguiranno l’esempio spostando le credenze delle major intente a rebootare anche Il tempo delle mele pur di evitare l’incubo della sala con poca gente.