Dopo aver smascherato tutte le torbide meccaniche del sistema dell’informazione con “Credimi sono bugiardo”, Ryan Holiday torna con un saggio breve sul Growth Hacker Marketing.
La disciplina del growth hacking si può riassumere in “trovare un modo efficace di propagare attraverso la rete al posto di promuovere con strategie di marketing digitale tradizionale”.
Ho usato il termine propagare per sottolineare alcuni aspetti tipici di questa filosofia:
in sostanza promuovere un qualcosa tramite questa dinamica implica un approccio basato sulle mille forme con cui le informazioni fluiscono e si spargono in rete.
Detta così pare che ci stiamo riferendo a semplice viral marketing, in realtà siamo di fronte ad una ricerca continua che esplora nuove strade.
Spesso e volentieri il growth hacking è connaturato con lo sviluppo stesso del prodotto.

Un esempio è Dropbox: avrebbe potuto spendere milioni in promozione invece il meccanismo di referral, i rinomati “250 mega in più se ci porti un amico”, hanno prodotto un aumento dell’800% di iscrizioni. A conti fatti un risultato del genere con una politica più tradizionale avrebbe comportato una spesa ben maggiore rispetto ai server che gestivano i tera in più, inoltre i tempi sarebbero stati gioco forza più lunghi.
La rapidità del processo è data dal fatto che le strategie di marketing tradizionali producono risultati in relazione diretta con i budget investiti, il growth hacking – quando fatto bene – ha dinamiche esponenziali nella diffusione.
Rimanendo sul caso di di Dropbox: ogni utente era stimolato in prima persona a “portare un amico”, quindi l’efficacia dell’operazione cresce in maniera esponenziale, per ottenere dinamiche simili il marketing tradizionale deve aumentare esponenzialmente i budget e non è detto che ci sia una corrispondenza biunivoca tra i soldi investiti e i risultati ottenuti. Inoltre la velocità con scala l’efficacia del growth hacking risulta comunque superiore.
Surrealisticamente il growth hacking si può rappresentare come un PR di una discoteca degli anni 90 con un potere magico: ogni volta che consegna un volantino la persona che lo riceve si trasforma in PR pieno di biglietti che, a sua volta, trasforma i passanti in PR.
Volendo mettere i puntini sulle X: i PR generati sono anche contemporaneamente clienti paganti del locale che promuovono.

Molto interessanti sono gli approfondimenti che sono più propri dello sviluppo del prodotto – metodologia lean, minimum value product, product market fit – che non il marketing puro.
Gli intrecci sono molteplici e praticamente indispensabili per il mondo delle startup visto che sono legate a filo doppio con la rete: non solo sarà necessario a pensare come una parte del prodotto farà da attrattore di nuova utenza, dovremo anche riflettere su quali canali utilizzare, nel farlo andranno presi in considerazione canali che probabilmente nella nostra mente non sono nemmeno catalogati come tali.
Un esempio di canale poco ortodosso è bit torrent: un artista per promuovere la sua produzione ha stretto un accordo con il client bittorrent che con la sua abnorme base di installazioni ha portato una visibiltà notevole all’opera, totalizzando numeri molto interessanti.
L’occhio del growth hacker deve allenarsi nell’individuare possibiltà partento da un cambio di paradigma concettuale molto forte, probabilmente troppo per gli addetti ai lavori legati a parametri più classici.

Una frase che sintetizza bene di cosa stiamo parlando è la definizione di Aaron Gin:
“Il fine ultimo di ogni azione di growth hacking è quello di creare una marketing-machine a moto perpetuo che autoalimenti il processo attraverso il quale raggiunge milioni di persone”

Il libro, dati anche i link sull’argomento che troverete alla fine, è senz’altro immancabile nel vostro account Kindle.