Per la serie “interviste impossibili” oggi abbiamo ai nostri microfoni Massimo Chierici.
Il tema più caldo di questi giorni, ovvero il caso Moncler, ha fatto sì che ci fosse un gran parlare della questione Crisis Management.
In uno degli infiniti salotti dell’internet è saltato fuori un Sergente Highway a ricordarci che, va bene il casino ma, 3 turni in Korea sono un’altra cosa.
Sergente..ehmm Massimo, ci spieghi un po’ chi è e cosa ha fatto di bello negli ultimi 30 anni.
Facciamo 20 che mi sento meno vecchio. Dopo essermi preso un diploma triennale in Comunicazione Pubblicitaria all’Istituto Europeo di Design come borsista ho iniziato a fare il copywriter, poi nell’estate del 1994 ero a New York con la mia futura ex-moglie, sono inciampato in un cybercafé ho mollato la mia accompagnatrice ad amici che vivono li’, ho fatto due settimane di corso su tutto lo scibile e non ne sono più uscito psicologicamente e professionalmente. Tornato a Milano mi sono lanciato nel mirabolante mondo della comunicazione web mentre parallelamente facevo il servo in varie agenzie pubblicitarie.
Assieme alla crescita del web italiano ha iniziato a decrescere la mia servitù. Ho iniziato a scrivere di comunicazione web per la pagina della cultura de Il Messaggero e altri giornali, ho capito che posizionandomi come “concept designer” avrei potuto “pensare” molto, lavorare meno e guadagnare bene …e cosi’ ho fatto finché nel 1998 non ho iniziato a collaborare prima come esterno, e poi come responsabile dell’area web, per un’agenzia di comunicazione integrata specializzata in destinazioni turistiche di alto profilo.
Alla parola Crisis Management ha tirato fuori una simpatica sequela di avvenimenti che ha avuto modo di osservare, ce li potrebbe un attimo ri elencare per i nostro spettatori?
La doverosa premessa è che se fai marketing della comunicazione web (e non) per destinazioni costose come la Polinesia Francese, Mauritius, British Virgin Islands, Portorico e Australia devi nascondere il più possibile tutte le magagne che potrebbero minimamente scoraggiare l’acquisto di pacchetti di viaggio che hanno un entry-evel spesso di migliaia di euro.
Sono posti chiaramente molto belli e suggestivi ma ogni destinazione ha le sue specificità in negativo.
Quando entrai in agenzia, ad esempio, gli esperimenti nucleari sull’isola di Mururoa nell’arcipelago delle Tuamotu nella Polinesia Francese erano cessati da pochi anni ma, anche a causa dello scandalo dell’affondamento ad opera dei servizi segreti francesi della nave di GreenPeace “Rainbow Warrior” nel 1985, la cosa era nota.
Dopo un’attenta riflessione la decisione fu….di far sparire Mururoa da tutti i materiali di comunicazione on/off line e pure dalle cartine turistiche. Ancora oggi è tenuta accuratamente nascosta, provate a cercare “Mururoa” su www.tahiti-tourisme.it.
Le British Virgin Islands invece hanno una diversa specificità in negativo, ovvero il loro essere un paradiso fiscale molto poco limpido. Il turismo, prevalentemente velico e di amanti delle immersioni subacquee, è sempre stato un simpatico paravento per coprire questa preponderante voce di Prodotto Interno Lordo (mai il termine lordo fu così esattamente applicato per una finanza nazionale). Ricordo ancora i contorcimenti per spiegare al loro Head Office che no, non potevamo fare un sito come rappresentanza italiana su “Come aprire anonimamente una banca con 20.000 dollari alle BVI” per non trovarci l’Antimafia in agenzia e per i ricaschi di immagine.
Portorico semplicemente, nonostante sia nei Caraibi, ha un mare poco appetibile ed è solcato da uragani per cui la strategia di comunicazione fu di posizionarlo come meta per golfisti e amanti della musica “salsa”. Questo però non impediva ai golfisti e ballerini di essere beccati da qualche ciclone fetente per cui almeno una volta l’anno dovevamo “sminuire” l’effetto, spesso devastante di questi cicloni, con azioni di rara ipocrisia sulla stampa e i tour operator.
Con Mauritius, destinazione perfetta e altamente consigliabile, ci ritrovammo sotto l’agenzia degli animalisti imbestialiti per non so quale traffico di animaletti esotici, mi sembra di ricordare degli uccelli. Fortunatamente quando le autorità italiane sancirono la legalità di questa importazione la cosa si chiuse in maniera abbastanza indolore sui media ma passammo alcuni mesi d’inferno.
L’Australia invece è l’inferno. Il manuale di “dont’s” del Head Office..ovvero di cio’ che bisognava evitare come la peste di comunicare aveva lo stesso spessore dell’elenco telefonico di Shangai.
L’aspetto più detestabile riguardava gli aborigeni che dovevano essere minimizzati per via della mattanza operata per secoli da parte dei “civili colonizzatori” riducendoli a elementi di folclore ai limiti dell’animalesco.
Poi gli animali, un vero flagello tra serpenti, coccodrilli, squali e altre bestiacce assassine…ogni anno in Australia muoiono decine di persone a causa loro e anche turisti poco attenti per cui eventi del genere doveva essere sempre monitorati grazie agli alert che ci inviavano via mail.
Un giorno…la Grande Madre di tutti gli alert: un turista (mi sembra tedesco) morto per uno shock anafilattico causato dall’essersi pulito il sedere con una non meglio specificata pianta velenosa.
Lo so, non è bello, ma rido ancora se ci penso. Non ho mai capito come mai non si sia piazzata come prima classificata tra i Darwin Award.
A fine 2009 dopo il crollo economico dell’anno precedente che aveva azzerato i viaggi anche per i ricchi ci tagliarono i budget e l’agenzia dismise l’area web e licenziarono tutti.
Qualche mese come opulento freelance e poi nel 2010 ho incontrato l’attuale sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, a cui ho curato come project manager tutta la parte on line sia delle Primarie del Centrosinistra che la gloriosa campagna elettorale e con cui collaboro ancora.
Anche qui ce ne sarebbero di storie da raccontare come potete immaginare, ma ne parliamo un’altra volta, magari a fine mandato 😉
Per concludere questo cotonatissimo pippone…il caso Monclér è stato ben gestito dai SM e CM ma in tutta onestà, nella mia esperienza, la trovo una crisi molto media, ho veramente visto di ben peggio.
Direi che spicca il fatto che hanno fatto veramente molto bene ad aspettare a rispondere, il “Calati juncu ca passa la china” è quella prima regola che troppo spesso nel community management non viene seguita quando esplode qualche casino.
Mai essere compulsivi: aspettare, capire i contorni della crisi, immaginare velocemente una strategia di response efficace, non raccontare palle e, con grande pazienza, menare come fabbri selettivamente.
Sì, menare come fabbri, perchè spesso sulla scia di un crisi reale e anche motivata ci sono speculazioni che rispondono a motivazioni terze che vanno dall’antipatia viscerale verso il brand/prodotto a azioni di guerrilla dei competitor, per cui vanno tenute distinte le critiche, anche le più veementi, dai deliri “funzionali” su cui si deve inervenire con decisione.
Spesso gestendo con educazione e fermezza l’atteggiamento scomposto degli utenti più “indignati” ho visto delle criticità diventare una grande opportunità di chiarimento.
Certo che è un bel curriculum, secondo lei quali sono le differenze fra l’era pre-social e quella attuale?
Le prospettive sono infinite ma dato che parli di social mi limito alle comunità virtuali.
Come community management pre-social ho una consistente esperienza sia su Usenet che è la prima struttura comunitaria del web dove ho anche moderato dei newsgroup facendomi una discreta pessima fama. Ho bazzicato sui canali Irc (Internet Relay Chat) e ho moderato per un paio d’anni una delle prime chat web: Woobinda.
Direi che il dato prevalente è che la moltiplicazione e maggiore accessibilità alle tecnologie della rete ha fatto da moltiplicatore di “scemi del villaggio globale” con quel conseguente drammatico calo di qualità nel dialogo e nei contenuti.
Gli utenti in rete sono spesso in quello che chiamavamo “write-only mode”, non verificano le fonti e “fanno girare” bovinamente contenuti rendendo la rete da autostrada dell’informazione, come speravamo diventasse noi nonnetti della rete, a autostrada della disinformazione.
Da questo punto di vista si marca una netta e ravvisabile differenza tra i sempre più presenti heavy user di device mobile contraddistinti da una bassa interazione, minore consultazione e arricchimento dei contenuti, rispetto a chi usa computer, cellulare e tablet in maniera “intelligente”.
A mio immodesto avviso ci troviamo in questa fase in una sorta di analfabetismo digitale di ritorno estremamente diffuso.
Un consiglio, anzi anche più di uno se possibile, che darebbe alle persone agli attuali caporali..ehmm volevo dire Social Media Manager?
Niente di più di quello che continuo a dirmi da solo da 20 anni; se arrivi a studiare qualcosa perchè è molto celebrato vuol dire che sta per diventare obsoleto…e quanto recita la mia signature decennale:
Usa la testa, il culo la seguira’ (Derek Raymond – Il Museo dell’Inferno).
Ringraziamo il Sergente Chierici e vi diamo appuntamento alla prossima puntata!