In questo post vi propongo una piccola ipotesi metodologica su come progettare una carriera freelance.

Problema

Tutti i freelance sono uguali: tutti i copywriter scrivono, i programmatori programmano, tutti i grafici disegnano, tutti fanno tutto per chiunque, etc…

Tipicamente un freelance si propone come una commodity e spesso rimane invischiato dal gioco a ribasso del “tanto c’è il tuo collega/un improvvisato che fa la stessa cosa e costa meno”.

Soluzione

Il positioning è lo strumento principale per toglierci dagli impicci sopra citati, quindi creare un brand/servizio che risolva un problema specifico di un target preciso.

Scrivere si possono scrivere milioni di parole per chiunque, ma se avessimo le parole giuste per un problema preciso? Un caso interessante è quello citato su Business Model You dove vediamo la semplice strategia di una traduttrice che, occupandosi di traduzioni legali, dichiara candidamente “io traduco per vincere le cause”.

Uno statement tanto semplice ed essenziale, quanto efficace.

Per arrivare a risultati del genere le cose sono 2: o ci affidiamo a intense sessioni di brainstorming caotico con noi stessi, oppure utilizziamo un po’ di metodo.
Quello che mi appresto a descrivere non ha certo la pretesa di essere la panacea a tutti i mali, piuttosto vuol essere uno spunto su come progettare con qualche criterio che ci faccia rimanere in carreggiata.

Il metodo

Innanzitutto prendiamo 3 fogli con i seguenti framework:
Empaty Map | Business model you | Value Proposition Design Canvas

Prendiamo il business model you e rappresentiamo il business model che adottiamo normalmente.
Facendo un lavoro di generalizzazione arriviamo ad un situazione più o meno come questa

Ovvero:

Io (risorsa chiave) faccio questa x cosa che so fare (key activities) per questo tipo di persone (target)

Nel caso per esempio di un grafico/sviluppatore, questo lavora per clienti singoli che ha trovato lungo il cammino e per agenzie varie per le quali svolge il ruolo di outsourcer.

Il problema che affligge molti è il presupporre che sia l’unica strada percorribile, strada che ovviamente porta in un vicolo cieco affollato di concorrenti.

Quindi dobbiamo riflettere su ognuno dei blocchi di questo canvas e farci una serie di domande:

  • Che valore produco al mio cliente?
  • Siamo sicuri che solo queste persone abbiano bisogno di me?
  • E se cambiassi il mio modo di lavorare?

A un certo punto potremo arrivare a sfornare riposte a domande complesse:

E se invece di lavorare per questo tipo di persone facendo questa cosa, ne facessi una leggermente diversa per un altro tipo di persone che raggiungo tramite altri canali?

Traducendo questa domanda nel linguaggio visuale del canvas significa lavorare sui blocchi:
key activities | value proposition | channel | target.
A seconda dell’ispirazione si può partire da uno qualsiasi dei blocchi in questione, in questo caso partiamo dal target, visto che spesso e volentieri può essere la chiave di volta:

  • se infatti ci presentiamo ad un target che ci percepisce in modo diverso
    (esempio: non l’ennesimo genio del computer che vuole farti il sito)
  • ci tratterà in modo diverso
    (potrebbe addirittura pagare in tempo senza chiedere lo sconto).

Quindi prendiamo la nostra bella empaty map e scervelliamoci a pensare a vari tipi di persone che possano aver bisogno di quello che sappiamo fare.

Una volta individuato uno o più target, troviamo il modo di soddisfare quel particolare bisogno che possono avere, prendiamo quindi il value proposition design canvas e strutturiamo il servizio.

Una volta definito cosa, come e per chi, allarghiamo la visione, prendiamo il business model you e pensiamo agli elementi collaterali come i canali, le risorse esterne.

Dato che scritto così è un po’ troppo astratto, prendiamo un caso concreto e risolviamolo:
Mario, 30 anni, laureato in lingue, ottimo inglese con esperienze all’estero.

Il suo modello è abbastanza semplice: lavorare per aziende che hanno bisogno di uno che sappia l’inglese oppure fare l’insegnante.

Quindi

  • 1 keyactivity: conoscere professionalmente la lingua
  • 2 tipi di target: aziendale e scolastico
  • 1 canale: il cv da mandare alle aziende
  • 0 value proposition: ovvero uno come tanti che sa l’inglese

Ripensiamo da zero e partiamo dal target: chi può aver bisogno di Mario?

Eradichiamo dalla nostra testa l’ipotesi “corso inglese all’ARCI”
 

In questo caso Mario è fortunato perché sono io ad aver bisogno di lui:

Helder, si occupa di marketing, vorrebbe qualcuno con cui chiacchierare in inglese per poter migliorare l’esposizione.

Siccome non sono un caso isolato, ci sono molti ragazzi che sognano la silicon valley o una ltd in UK, vuol dire che c’è un mercato. La riprova che esiste un mercato è data dall’esistenza di https://www.fluentify.com

Quindi il nostro Mario può decidere di iscriversi a questo sito e sfruttare il suo know how utilizzando le dinamiche tipiche di questi sistemi: un turnover abbastanza veloce di domanda e offerta gestita automaticamente.

Questo però è solo un passo del processo: l’utente che accede a fluentify è un utente generalista, mentre il sottoscritto ha la fortuna di avere esigenze specifiche (cioè parlare di business).

Ipotizziamo che dopo un po’ di sessioni il nostro Mario abbia corretto i miei errori e nel contempo abbia imparato qualcosa del bizzarro mondo di startuppari di cui amo disquisire; a questo punto può affrontare una discussione con qualcuno che vuole fuggire con la sua startup sottobraccio.

Ecco che registriamo un sito dove viene offerto il nostro simpatico chiacchierone in lingua che ha presente quello di cui stiamo parlando!

Questo diventa un posizionamento di ferro: io startupper posso scegliere se pagare dai 6 ai 25 euro all’ora per una persona qualsiasi oppure pagarne 30 per una che ha almeno idea di cosa sto parlando -al di là che stia azzeccando o meno i verbi irregolari.

Quindi otteniamo i seguenti risultati

partiamo da determinare il profilo dell’utente

Empathy map

persona

  • Think&feel: business model, roi, funneling e tante altre parolacce anglofone
  • Hear: ascolta gli speech di vari opinion leader
  • See: legge i libri in inglese sull’argomento
  • Say&do: fa_cose_vede_gente 2.0
  • Pain: non avere una parlata perfettamente fluente
  • Gain: arrivare a un british english

 

 

Value proposition design canvas

  • Product and service: chiacchierate in lingua inglese
  • Pain relivers: possibilità di parlare dell’elevator pitch
  • Gain creators: competenza sia linguistica che contenutistica
  • Customer job: voglio parlare di marketing in inglese
  • Pain: non avere una parlata perfettamente fluente
  • Gain: arrivare a presentare il pitch negli USA

Business model you

Adesso che abbiamo definito:

  1. cosa fare (key activity)
  2. per chi (target)
  3. la ragione per cui dovrebbe rivolgersi a noi (value proposition)

Dobbiamo quindi individuare un canale, in questo caso è presto detto: internet.
Quindi un sito che proponga in modo corretto il servizio di un simpatico chiacchierone che sappia qualcosa di startup.

Possiamo fare campagne di google/facebook/linkedin adwords miratissime e da li tirar fuori qualche cliente fortemente interessato al profilo.