Esistono vari libri dedicati alle startup: alcuni tecnici altri meramente motivazionali… questo invece è da catalogare come “demotivazionale”
In sostanza siamo di fronte a un monologo dove l’autore parla all’aspirante startupparo: una confessione “off-the-record” e senza peli sulla lingua che enumera verità scomode che si celano dietro ai miti ipertrofici di Silicon Valley e della narrativa che circonda il magico mondo delle Startup.
Nei vari capitoli vengono smontati i miti utilizzati negli articoli, nelle conferenze e in tutte le slide che popolano l’ecosistema di startup, incubatori, investitori, ecc
I miti (finti) della valley
Una delle prime cose ad essere debunkata è il mito del garage dei due Steve (Jobs e Wozniak): scopriamo infatti che il primo Mac è stato assemblato da Wozniak nei laboratori di HP durante i ritagli di tempo e non nel garage di papà.
Una delle demifisticazioni più belle è quella relativa al mito dei self made men, eterno leit motiv che imperversa nei post buongiornisti che impestano ogni giorno le bacheche di LinkedIn.
Il passaggio dedicato a Bill Gates è notevole:
“Il signor Bill Gates, che ci raccontano che abbia lasciato il college per seguire da vicino i primi affari della sua Microsoft, non sarebbe arrivato proprio da nessuna parte senza il contributo del suo storico dipendente e futuro ad Steve Ballmer, che aveva accesso ad un certo network di conoscenze e di competenze, visto che lui Harvard l’aveva finita e aveva esperienza come venditore per la Procter & Gamble, e tutto quello che ci gira intorno.”
Poi sottolinea come Jeff Bezos:
“…ha frequentato l’Università di Princeton, e dopo ha lavorato per 8 anni come consulente di banche di investimenti, ben pagato. Sapeva cosa stava facendo, sapeva dove stava andando, e aveva le risorse materiali e immateriali per poterlo fare.”
Infine il buon Mark:
“Il signor Zuckerberg, che prima di mollare stava frequentando Harvard, non sarebbe arrivato da nessuna parte senza i consigli di Sean Parker, già businessman; né quelli di Sharyl Sandberg, laureata ad Harvard, che lavorò come un’ossessa per incastrare in un modello di business funzionante quello che prima del suo arrivo era solo un elenco telefonico costosissimo da mantenere”
L’ecosistema delle startup
Per quanto i toni del libro possano sembrare scoraggianti, in realtà si tratta di una dose di sano realismo che combatte lo storytelling drogato di gente che fa exit milionarie dopo 6 mesi.
Ecco qui alcuni estratti significativi.
“Esiste tutta una selva di parassiti che gravita intorno agli startupper in erba, cercando di lucrare sulle loro inesperienze. Non che sia un peccato chiedere una consulenza, eh, (se non sapete, chiedete!) ma bisogna saper distinguere tra chi vende fuffa e chi sostanza”
“Perché la tua startup diventi un’organizzazione esponenziale, però, non basterà che tu lo voglia, nemmeno che tu lo voglia da morire; con buona pace dei teorici della legge d’attrazione che aspettano l’assegno da un trilione di dollari nella cassetta della posta,”
“Il 90% delle imprese avviate ogni anno falliscono proprio perché fanno l’esatto opposto di quello che dovrebbero fare: risolvono un problema che a) nessuno aveva b) nessuno sapeva di avere c) una volta saputo, a nessuno gliene frega niente di risolverlo.”
A chi è destinato questo libro
Per rispondere a questa domanda copincollo le testuali parole dell’autore
“sto scrivendo per persone normali, che conoscono solo gente normale e non per chi frequenta la crème dell’alta società e gioca a polo/golf con la massoneria finanziaria”
Inoltre è un’ottima idea regalo: se avete amici e volete farli desistere prima che finiscano sotto un ponte nel tentativo di fare il “nuovo social network che cambierà il mondo”, comprate loro questo titolo.
Titolo: Startup di merda
Autore: Mario Moroni
Editore: La Memoria del Mondo
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